Se lavorate nella moda conoscete bene ITS – International Talent Support, un premio per designer emergenti che da due decenni mette al centro della ribalta giovani talenti da tutto il mondo. Se avete incrociato una delle iniziative di ITS allora conoscete Barbara Franchin, fondatrice e cuore pulsante di ITS.
Nata e cresciuta a Trieste – città nella quale ITS ha la sua sede – nel 2002 lancia ITS Contest, che da subito riscuote un grandissimo successo e fa di Trieste un inaspettato centro nevralgico per la moda emergente. Da subito Barbara capisce l’importanza della conservazione della memoria e avvia la costruzione di un archivio che oggi custodisce 14.758 portfolio, 1.089 capi, 163 accessori, 118 gioielli e oltre 700 progetti di fotografia digitale provenienti da oltre 80 paesi.
Per rendere vivo questo archivio, il 18 aprile 2023 inaugura ITS Arcademy, 1400 metri quadrati nel centro di Trieste dove coesistono spazio espositivo, archivio creativo e centro di formazione.
Con lei parliamo di come salvare la creatività, dando possibilità ai giovani talenti ma anche aprendo le porte di un archivio vivente capace di ispirare chiunque.
I link dell’episodio:
– Il sito di ITS Arcademy
– Il sito di ITS Contest
– Il libro “Metamorfosi” di Emanuele Coccia
PF: Sono Paolo Ferrarini e questo è Parola Progetto. Parola Progetto è un podcast di dialoghi con persone che vivono di progetti, dove si racconta il design in tutte le sue forme, senza oggetti e immagini, solo attraverso la parola.
Ed eccoci qua. Oggi siamo a Trieste in compagnia di Barbara Franchin, presidente e direttore artistico di fondazione ITS. Con lei parleremo di talento e di sogni, ma anche di archivi e di futuro.
Se lavorate nella moda, conoscete bene International Talent Support, un premio internazionale per designer emergenti che da due decenni mette al centro della ribalta giovani talenti da tutto il mondo. Se avete incrociato una delle iniziative di ITS, allora conoscete bene Barbara Franchin, sua fondatrice e cuore pulsante. Nata e cresciuta Trieste, città nella quale ITS ha la sua sede, nel 2001 fonda l’agenzia EVE, che nell’anno successivo lancia ITS Contest, che da subito riscuote un grandissimo successo e fa di Trieste un inaspettato centro nevralgico per la moda emergente. Da subito Barbara capisce l’importanza della conservazione della memoria e avvia la costruzione di un archivio che oggi custodisce 14.758 portfolio, 1.089 capi, 163 accessori, 118 gioielli e oltre 700 progetti di fotografia digitale provenienti da oltre 80 paesi.
Per rendere vivo questo archivio, il 18 aprile 2023 inaugura ”ITS Arcademy”, 1400 metri quadrati nel centro di Trieste, dove coesistono spazio espositivo, archivio creativo e centro di formazione.
Ciao Barbara, benvenuta a Parola Progetto.
BF: Ciao Paolo e a tutti gli ascoltatori.
PF: Finalmente! mi viene da dire, perché è veramente da tantissimo tempo che avevo in mente questa puntata e adesso c’è stata la congiunzione astrale per cui siamo riusciti finalmente a sederci uno di fronte all’altra e chiacchierare.
Sono stato per la prima volta a ITS nel 2018 e mi ha subito colpito una cosa: il senso di comunità. Tutte le persone coinvolte, dai capitani di industria fino ai volontari, dal giornalista di fama mondiale al giovane sconosciuto, tutti ci sentivamo indiscutibilmente parte di qualcosa di unico. La prima domanda è proprio questa Barbara: come costruisci questo sentimento di appartenenza?
BF: Io non faccio nulla, l’unica cosa che facciamo è quella di vivere con molta semplicità, serenità, tutto quello che facciamo. Potrei dirti che ho una fame di famiglia che non riesco mai a soddisfare, per cui probabilmente è quello che mi spinge. La leva più forte è proprio questo bisogno di una famiglia che è il mondo, che sono sette miliardi di persone ovviamente, 7 miliardi non riusciamo a riunire assieme ma per quel piccolo segmento di umanità che mettiamo assieme mi illudo di vivere in un momento di elevata capacità umana di coesistenza.
PF: Quando hai avuto l’idea di creare ITS? Come ti è venuta questa idea a suo modo – permettimi di dirlo – un po’ folle.
BF: Sicuramente un po’ folle, non mi sono mai sentita una persona non folle. Ho sempre avuto il bisogno di mettere le persone assieme, di sentire tante persone vicine, diverse ma vicine. Sentivo la spinta del fare le cose con le mani, del fare la moda, per cui ti direi intorno ai 25 anni ho deciso di fare il primo figlio che si chiama Mittelmoda. Non mi soddisfava più il posto, lo spazio, la mentalità, il modo di lavorare e ho detto ”lo facciamo come l’ho sempre immaginato”. Ho trovato dei compagni di viaggio che hanno creduto in quello che stavo raccontando, in questo viaggio che avrei voluto fare con qualcuno, per cui tutto è ricominciato da capo nella mia città nel posto che sento madre e padre marito compagna figlio figlia.
PF: Diciamo che sono uno studente di moda, sento parlare di questo concorso che si tiene a Trieste, una città dell’Italia che magari conosco o magari no, voglio partecipare a questo concorso. Come funziona?
BF: Beh, molto semplice tecnicamente parlando. Cioè, tecnicamente vai sul nostro sito itsweb.org, trovi la sezione “contest”, trovi “how to apply”, trovi “regolamento”, trovi l’application form. Quello che bisogna avere è la voglia di raccontare e la capacità di farlo, avere un progetto nella propria mente, un progetto che sia fattibile, nel quale il linguaggio sicuramente è un linguaggio vestimentale. Devi avere voglia di incontrare persone e di ascoltare qualcuno che ti guarda con un occhio diverso dal tuo. Questo probabilmente è un esercizio che potrebbe farti male, ma ti farà tanto bene perché quando il gioco va al di fuori della cameretta, al di fuori dello spazio mentale del designer e comincia ad avere le proprie gambe e camminare e incontrare altri, è lì il momento in cui un designer capisce se il proprio progetto è un progetto suo o è un progetto suo per gli altri.
PF: Quante candidature ricevete ogni anno?
BF: È molto variabile. Il numero può andare dai 500 fino ai 1300.
PF: So che valutate tutto quello che ricevete, ma soprattutto conservate tutto quello che ricevete.
BF: Sì, fin dall’inizio, 22 anni fa, io ho conservato dal primo all’ultimo porfolio che i designer (o aspiranti tali) hanno avuto la generosità di mandare. Li ho visti tutti e anche più di una volta, per cui posso dire sì di aver visto più di 14 mila progetti e fin dall’inizio, 22 anni fa, ho pensato che erano una ricchezza immensa e non esclusivamente per il valore artistico creativo, ma proprio perché è uno specchio, un’evoluzione nel tempo della capacità progettuale di chi si approccia al mondo educativo della moda.
PF: Come avviene poi il percorso dalla candidatura fino alla premiazione? Quali sono i passaggi del concorso?
BF: Negli ultimi anni abbiamo prima un’iscrizione digitale, per cui praticamente quasi tutto il materiale viene chiesto digitalmente, il curriculum, le immagini, i disegni, il designer che sfoglia il portfolio e che lo racconta, perché noi potremmo averne un’interpretazione diversa da quella originale, quella voluta, per cui al di là delle parole scritte cerchiamo di avere anche delle parole, proprio il suono delle parole, e il tono in cui raccontano il loro progetto. Noi ne selezioniamo cento, adesso, quest’anno è così, ne selezioniamo 100. Da questi 100 poi in novembre ci saranno le preselezioni, c’è una giuria più o meno di dieci persone, condividiamo con la giuria in questi due giorni di scambi, di punti di vista diversi, di lotte proprio. E anche di grande, grande gioia assieme, grande stupore perché dopo 22 anni io mi sorprendo ancora, cioè riescono a sorprenderci ancora. A quel punto vengono selezionati intorno ai venti, trenta (a seconda dell’annata) progetti. Progetti, persone, alle quali vengono poi affidati dei progetti extra da sviluppare. Di solito passano più o meno tre mesi dal momento in cui li selezioniamo al momento in cui vengono invitati a Trieste. Portano le loro collezioni, incontrano la giuria finale, che è composta dalla giuria delle preselezioni, più alcuni altri elementi. Incontrano la stampa, incontrano persone del settore, spiegano il loro progetto, spiegano nella maggior parte dei casi se stessi. Noi si discute, ci si riunisce. Abbiamo più o meno dieci, quattordici premi, per cui ce ne sono tanti. La filosofia di ITS è quella di non concentrare i premi su una sola persona, ma dare a più persone la possibilità di avere una spinta in più. Lo sappiamo dei loro racconti. Demna ci ha raccontato che con i soldi che ha vinto ha creato il suo studio per il suo primo brand nella collezione di donna.
Arrivano a Trieste senza capire bene dove stanno arrivando. Io li accolgo dicendo “Benvenuti nella ITS Family. Ora non sai cos’è la ITS Family, ma fa tre giorni sorriderai e mi dirai: ciao ITS Family”. È il momento più bello dell’anno, il momento in cui li vedi tutti e [vedi] appunto la differenza tra aspettative e realtà. Si fanno persona, si fanno persone. Vincono dei premi, ma per noi sono tutti i vincitori, lo percepiscono anche loro. Il rapporto non finisce, anzi, inizia e inizia in un’altra dimensione che è quella appunto familiare, solo per chi vuole.
PF: ITS nasce a Trieste, cresce a Trieste, anche con le ultimissime evoluzioni di cui parleremo tra poco. Per quale motivo hai deciso di tenere sempre e comunque la sede, il cuore, l’anima di ITS a Trieste? Non hai mai pensato – che so – di andare in una grande città, una capitale dove ci sia più moda rispetto a Trieste?
BF: Ho sempre pensato che ITS avesse bisogno di pulizia attorno. Ho sempre pensato che chi veniva a ITS aveva bisogno di fare un percorso non inquinato da tanta roba per concentrarsi completamente, per non avere altre vie di fuga. “Devo andare a quell’appuntamento, quella sfilata quella cosa”. No, tu sei qua e dedicherai due o tre giornate a questi 20 nuovi creativi. Al di là di tutto poi Trieste è la mia città e io credo molto nelle piccole città, credo che si possano fare più cose e meglio. E poi onestamente credo che mi avrebbero mangiato in qualsiasi altro posto. Sare stata assorbita, mangiata da qualcuno e qualcosa.
PF: Dal 2002, che è stato l’anno della prima edizione di ITS, hai sicuramente dovuto vincere delle avversità, superare ostacoli clamorosi, dagli spazi, ai finanziamenti. Non oso nemmeno immaginare! Quali sono stati gli ostacoli più grandi e come hai fatto ad avere la meglio?
BF: Forse all’inizio l’ostacolo più grande… Avevo avevo 30 anni quando ho iniziato e non li dimostravo, per cui mi chiedevano dove era la mamma. Questo è stato il primo ostacolo. Poi [era] un mondo molto maschile, soprattutto quello territoriale, per cui [dovevo] dialogare con uomini che non mi guardavano, mi vedevano solo una donna e giovane, non vedevano il progetto, non vedevano quello che gli raccontavo. Ma per fortuna anche in questo mondo ho trovato delle persone, uomini, che hanno ascoltato e che mi hanno magari aperto una piccola porticina, mi hanno permesso di fare le cose. Di difficoltà ne abbiamo avute di ogni genere, dal relazionale a quello di andare a trovare i partner, i partner che comprendessero come trattare questo oggetto prezioso che è ITS. Abbiamo avuto problemi legati alle crisi economiche, per cui io le ricordo bene le crisi economiche, ho sempre perso un pezzo, ho perso qualcuno e qualcosa ogni volta.
Abbiamo superato difficoltà di ogni genere. Aver avuto la meglio non è definitivo, cioè ogni giorno è una conquista e sai che anche oggi sei riuscito a sopravvivere e forse a crescere. Per cui non mi aspetto a un andamento diverso, mi aspetto che le avversità continuino.
PF: A proposito di difficoltà superate, nel 2018 mi hai accompagnato alla scoperta dell’archivio di allora. Si trovava in un sottotetto molto bello, ma comunque un sottotetto, molto ben organizzato, ma sembrava che stesse per esplodere da un momento all’altro, non c’era più spazio neanche per uno spillo. Mi parlavi di un progetto che avrebbe incluso i materiali storici, un centro di formazione, uno spazio per le mostre. Qualche mese fa hai finalmente inaugurato ITS Arcademy. Attenzione “Arcademy” con la R. Cosa significa questo neologismo? Perché quando me l’hai raccontato ho capito che racconta ben più di un nome, ma un’idea profonda.
BF: È un nome ambizioso, un nome che racchiude in sé tre significati diversi e tutti tre molto intensi, forti, pesanti, profondi. Partiamo da questa R incriminata che sembra un typo, invece [sta per] arca. Noi ci siamo sentiti, noi ci sentiamo un’arca. Siamo in giro per il mondo a raccogliere specie e a salvarle. Il nostro claim, il nostro manifesto è proprio “Save Creativity”.
Archivio perché noi siamo archivio, nasciamo dal prodotto del contest e invece di buttarlo via noi abbiamo trattenuto tutto perché non c’era nulla da gettare, c’era tutto da trattenere. Per cui l’archivio è diventato corposo. Tutto quello che tu hai visto al quarto piano [era in una mansarda] senza ascensore, senza riscaldamento, raffreddamento, perché – va detto, va completato il discorso – arrivavamo anche a 38 gradi 40 gradi. Marina Abramović c’è stata lì, a 40 gradi. E tutto quello che hai visto in quel piccolo spazio oggi trova spazio in 1400 metri quadrati. È uno spazio per tutti, per scoprire la propria creatività attraverso la creatività degli altri. È una spinta, una suggestione, un cercare un po’ di shakerare le persone che entrano da noi per avere a che fare con se stesse.
Tutti noi abbiamo dei sogni nel cassetto, nelle tasche o in fondo al nostro cervello, [ma anche] delle limitazioni che ci siamo dati o che la nostra famiglia, la società ci ha ritagliato attorno nel momento in cui si decide che tipo di vita si vuole fare. Allora, il lavoro sicuro, il lavoro insicuro: chi lavora nella creatività sembrava vada nel vuoto, nell’incerto. È un mestiere come gli altri mestieri, prevede però un coinvolgimento forse in taluni casi maggiore nella propria esistenza.
Il concetto di accademia c’è [perché] abbiamo anche una parte educativa. Non intende minimamente doppiare, andare sopra all’educazione universitaria o quello che sono le scuole di moda, ma semplicemente cerca di creare un ponte con tutti e con tutto. Infatti noi immaginiamo moduli educativi per i bambini che vanno dai sei anni in su, fino a quelli di cento, dai bambini di sei ai bambini di cento, è tutto quello che ci sta in mezzo. Diamo le cose che le scuole magari non riescono a dare e lo facciamo attraverso il nostro archivio, attraverso le emozioni e i progetti di 14.000 persone. Forse [è] la cosa più emozionante che ci è capitata. Tu hai usato molte volte “tu”, io dico “noi”, perché siamo più di trenta persone dedicate a questo progetto, quindici delle quali sono con me da vent’anni. La parte educativa è quella che ci sta dando una soddisfazione immensa. Vedere quando solleciti qualcuno, quando a qualcuno dai un’opportunità e le reazioni che ci sono, dai bambini di sei anni a quelli di dieci, dodici, ti fanno rimanere veramente a bocca aperta. Se loro riescono ancora a pensare, a creare, ad avere pensieri autonomi, propri, allora abbiamo speranza.
PF: Qualche ora fa ho avuto l’opportunità di sperimentare le sale dell’Arcademy. Si inizia con un video, poi c’è una parte più legata alla fotografia. C’è questo archivio, questa sala stupenda con dei portfolio – che, tra l’altro, in alcuni casi si possono anche consultare – e poi c’è una parte diciamo più tradizionale, di mostra, di esposizione. Adesso, fino alla primavera prossima, c’è la mostra ”The first exhibition. 20 years of contemporary fashion evolution” fino al 4 febbraio. È stata curata da Olivier Saillard, uno dei più importanti curatori di moda al mondo. Qual è il progetto di questo museo, l’idea che sta alla base di questa parte più espositiva?
BF: Ti stupirò e forse anche creerò degli strani pensieri, ma l’idea è in continua evoluzione. Noi non abbiamo un’idea fissa e non vogliamo averla. Vorremmo non fissarci, non cristallizzarci in un’idea di museo. Riteniamo che oggi i musei abbiano bisogno di grande elasticità, di cambiare velocemente. Affrontiamo di mostra in mostra il nostro pensiero. Abbiamo deciso di non fare pensieri più lunghi di tre anni. Perché non sappiamo cosa succederà, come sarà il mondo fra tre anni e vogliamo essere pronti a cambiare velocemente.
PF: Quindi adesso nella mostra ci sono alcuni dei progetti più noti o più sorprendenti dei finalisti.
BF: È chiaro che alla base ci sta l’archivio di ITS. Abbiamo più di mille pezzi per cui è l’archivio che dialoga con se stesso o con gli altri. L’ampiezza del dialogo cambierà di volta in volta. Ecco, questo è il pensiero alla base.
PF: Quindi potranno esserci anche delle influenze reciproche, potranno esserci… chi lo sa?
BF: Ma chi lo sa? Magari fra quattro anni non ci sarà neanche un capo dell’archivio e in mostra ci sarà solo un progetto, un pensiero, una frase che ha scritto un ragazzo quindici anni fa e ci saranno altri progetti a dare sostegno a questo pensiero, magari profondo, che qualcuno non ha capito, non ha letto, e che magari fra tre anni è rilevante.
PF: Poi devo farti i complimenti Barbara (a te ovviamente e a tutto lo staff) per il progetto museografico in generale. Mi spiego: è tutto spiegato molto bene, tutto estremamente comprensibile, puoi avere diversi livelli di lettura, da quello più – passami il termine, instagrammabile – perché è comunque tutto bello da vedere e questo è il primo livello superficiale che ovviamente ci deve essere. Poi ci sono dei didascalie molto chiare, molto semplici, molto secche per cui se voglio semplicemente sapere chi ha fatto questa cosa lo so in un attimo, di che anno è, da quale nazione proviene ovviamente (questa è un’altra cosa importantissima) lo capisco al volo. Poi ci sono questi codici QR che rimandano a dei contenuti multimediali, che attraverso il proprio telefono possono essere facilmente consultati. Parliamo di audio, parliamo di ulteriori immagini, parliamo di testi devo dire di una profondità incredibile. Tutto molto chiaro, tutto molto pulito. Mi chiedo: come lo avete sviluppato? Qual è stato il dialogo, il processo interno che vi ha portato ad avere questa chiarezza finale?
BF: Ce l’avevamo in testa. Abbiamo solo fatto quello che avevamo già immaginato da molto tempo. In pancia ce l’avevamo da sempre il progetto del museo. Non si chiamava museo, si chiamava “casa”. Non pensavamo di essere in grado di mettere insieme un museo, di aprirlo e di farlo visitare al mondo. Sai, comunque l’idea che ci muove tantissimo e che ci fa felici è quella di vedere [che] le persone quando escono sono diverse da quando sono entrate. Ma tutte! [Abbiamo] un pubblico assolutamente trasversale, dai locals al turista che dici ”Mah! Questo turista non entra mai un museo”. E invece sì, vengono e ognuno di loro ritrova una parte di sé. Pensavamo di costruire un museo che fosse solo per noi, che solo noi avremmo capito. Per cui quando io mi sono messa a pensare il tipo di percorso, ho detto “io devo far capire alla gente perché noi venti, trenta persona abbiamo dedicato la nostra vita a questo, che cosa ci ha affascinato di tutto questo, perché abbiamo questa fede”. E siamo riusciti a trasmetterlo, ma perché nella mia testa c’era, devo far capire a tutti che tutti siamo nati per creare.
Da questo, poi vai verso il percorso del contest, di quanti materiali abbiamo raccolto, di che cosa abbiamo raccolto, di come l’abbiamo interpretato, di quanto questo museo sia un racconto di persone, di anime. Lo vedo più un museo umanistico piuttosto che un museo della moda. È un posto dove tutti ritroveranno qualcosa di sé e si divertiranno perché poi vedranno delle cose particolari. Però non ci soffermiamo moltissimo su una piega, una cucitura. Ci soffermiamo sul racconto che ha un peso importante. La nostra guida e le nostre guide sono istruite a questo e la gente si diverte tantissimo.
PF: Immagino che ti avranno chiesto almeno una volta al giorno che cos’è il talento, di trovare una definizione di talento…
BF: Non ce l’ho, mi dispiace. Per me è quello che mi sconvolge. Alle volte è qualcosa, una cosa misteriosa che non riesco a capire, in quanto non la capisco dico ”se non la capisco deve essere proprio nuova perché non la so leggere”. In altri casi è qualcosa di conosciuto, di fatto in un modo assolutamente straordinario. Non saprei darti una definizione. Per me è qualcosa che mi sconvolge, che mi fa stare in uno stato diverso e sorprendente, entusiasmante, come se fosse una molla proprio proiettata verso l’infinito. Il talento è qualcosa di sconvolgente, in qualsiasi modo venga applicato.
Dopodiché io penso che tutti quanti abbiamo una nostra quota di talento esprimibile in potenza. Poi c’è la differenza con i geni, ecco, ma i geni sono pochissimi o almeno noi ne vediamo pochi. Chissà quanti ce ne sono che noi non vediamo, non sentiamo, che non hanno la possibilità di esprimersi. Però c’è differenza tra essere estremamente geniali ed avere un talento.
PF: Alcuni, se non forse addirittura molti dei candidati di ITS magari vengono da percorsi che non sono propriamente della moda. C’è chi arriva dall’economia, c’è chi arriva dalla biologia, c’è chi arriva dall’ingegneria, quindi percorsi strani che portano in un certo qual modo, magari per un certo periodo, alla moda. Poi, da ITS in poi, ci sono anche percorsi che si allontano dalla moda: magari c’è chi va finire nell’arte, c’è chi ha proseguito [con] progetti legati all’artigianato, alle piccole produzioni.
BF: Addirittura diventano psicologi. Però si vedeva dall’inizio che quello sarebbe stata loro strada perché i progetti avevano una base su quello. Per cui sì, vanno da altre parti, ma la traccia non si perde mai.
PF: Tra quelli invece che hanno proseguito nella moda ce ne sono alcuni che hanno raggiunto anche una notorietà globale. Penso a Demna che hai già citato, aggiungiamo a Matthieu Blazy, Richard Quinn e tantissimi altri, che hanno ruoli apicali. Magari non sono nomi così noti ma sono i numeri due di grandissime aziende. Quali sono le vicende umane e professionali che ti hanno più colpita in questi anni?
BF: Beh, hai citato Matthieu Blazy. È una bellissima storia, la sua. Lui arriva a ITS nel 2006. È venuto con una collezione bellissima ancora oggi, sono passati gli anni, ma è bellissima. Hai visto il percorso di ITS e tutti gli abiti: tu non riesci mai a capire di che anno sono, perché sono senza tempo, sono proprio senza tempo. In quell’anno avevamo in giuria Raf Simons. Soprattutto in quel tempo non si faceva fotografare, nessuno sapeva chi era, un po’ come Margiela. Raf Simons, finita la sfilata, si trova a parlare con Matthieu Blazy. Lui lo ha fatto di proposito ovviamente, chiedendogli ”Ma che cosa farai nella vita? Che cosa vorresti fare dopo? Domani?” “Mi piacerebbe tantissimo lavorare con Raf Simons”. “Bene”, lui gli disse, perché io ero lì, sono la testimone diretta di questo incontro e me la ridevo sotto i baffi, non hai idea quanto. Non sapevo come avrebbe reagito l’uno o l’altro. Raf dice: ”Raf sono io e sono interessato a questo tuo sogno di voler collaborare con me”. Per cui hanno incominciato un percorso insieme che è durato moltissimo tempo e [in] ogni sfida creativa Raf se l’è portato dietro. Oggi invece ha un suo percorso autonomo.
PF: Prima parlavamo della famiglia di ITS. So che con molti di loro, se non quasi con tutti, mantenete una forma di contatto. Come costruite questo “dopo ITS”? Come è strutturato?
BF: In parte lo lasciamo nelle loro mani. Diciamo: “Da qui in avanti se vuoi noi ci siamo”. Dopodiché noi facciamo una serie di comunicazioni, scriviamo, li coinvolgiamo in altri progetti per cui non sono mai il passato per noi, per noi sono il presente e il futuro. Adesso con il museo, con l’Arcademy, abbiamo mandato il catalogo a tutti i ragazzi in mostra. Se devo dirtelo con tutta onestà, parte del motivo – sembrerà banale – è perché lì volevo rivedere tutti e volevo continuare a collaborare, a vederli crescere, a incrociare, a mescolare ancora tutti. Io so, sento, che il mio bisogno e famiglia non è solo mio, che questo bisogno di unione lo sentiamo in tanti, che in un periodo di disgregazione sociale come questo e di isolamento in un’apparente iperconnettività, ci sia bisogno di famiglie vere, di venirsi a trovare, di incontrarsi, di rimangiare assieme, di tagliare tessuti insieme, di ricamare sui progetti che abbiamo fatto dei grandi cuori, tutti devono lasciare un pezzettino. Non so, sono un’illusa, ecco, ma mi piace vivere in questa illusione. Intanto la vita è la madre delle illusioni. Almeno io vivo la mia illusione, la nostra, perché condivido con tutto lo staff questa amore e cura per ciascuno di loro. Quando arrivano, loro non si rendono conto. Quando gli diciamo: “Sì, perché nel tuo portfolio, pagina 3, con questa cosa, c’è scritto questo, tu mi confermi, vero?” E questi rimangono [sorpresi]. Sì, noi vi guardiamo i raggi X, voi entrate a far parte della nostra famiglia, noi parliamo di voi nelle nostre conservazioni, anzi, conversazioni. Vedi questo lapsus?
PF: Bellissimo
BF: Nelle nostre conversazioni come se foste i nostri amici che [abbiamo] visto ieri. Magari sono dieci anni che non ci vediamo, ci scriviamo, ma non ci vediamo.
PF: Nel vostro lavoro avete avvistato qualche germe di quello che sarà la moda del futuro? Ci sono dei cambiamenti in corso che magari state iniziando a vedere? Che daranno forma al settore moda per i prossimi – esagero – decenni?
BF: Sicuramente la questione sostenibilità e la questione “piccolo è meglio”, messe insieme, ti fanno vedere che molto probabilmente la moda sarà più una moda personale, una moda più one to one, piuttosto che “compro quello che possono comprare altre cinquecentomila persone o un milione”. Dipende dagli oggetti che compri. Per cui da un lato i ragazzi tendono a usare [il minimo indispensabile], a non fare assortimenti, a fare l’ordine quando arriva, a tagliare solo le cose che servono, ordinare solo quello che serve, a riciclare, recuperare. Questo non può che essere personale e questa è sicuramente una parte che già esiste, che già c’è e che ci sarà sempre di più.
[Per] la parte di intelligenza artificiale (perché immagino che lì volessimo andare) noi ne abbiamo visti i primi segnali sei, sette anni fa. Le prime applicazioni di intelligenza artificiale [erano] a livello sperimentale, non come oggi [che sono di] uso comune. A noi interessa moltissimo, siamo lì in ascolto per capire se i designer useranno o verranno usati dall’intelligenza artificiale. Noi siamo interessati a capire che cosa accadrà e so che quest’anno andrò a vedere progetti che parlano di e con l’intelligenza artificiale. Io lo apprezzo sicuramente quando viene usato come strumento che aumenta la tua capacità creativa e ti migliorerà, piuttosto che sostituirti. Ecco, la sostituzione la ritengo poco interessante.
Poi i nuovi materiali sicuramente sono una grande scommessa. In un futuro futuro [vedremo] i micro materiali che si disferanno e ridisferanno e rifaranno. Tu non avrai più un vestito, avrai un cassettino con delle microsfere che costruiranno ogni giorno il tuo abito diverso. Ecco, io e te probabilmente non ci saremo, ma i nostri discendenti o quelli dei nostri parenti sicuramente vedranno questo.
PF: Bene, bene. È arrivato il momento della raffica.
BF: Ho tanta paura.
PF: Lo so che hai tanta paura, ma non ti devi preoccupare. Ti spiego le regole, sono molto semplici. Sono dieci domande: Solo risposte secche. Hai una possibilità di passare (se proprio c’è una cosa che ti dà fastidio puoi passare) e una possibilità di argomentare.
BF: Io però come faccio a scegliere quando passare se non le so tutte insieme? Questo è cattivo.
PF: Le regole le facciamo noi, per cui possiamo decidere di fare sostanzialmente quello che ci pare.
BF: Ok sono pronta, vai.
PF: Allora: alta moda o prêt-à-porter?
BF: Alta moda.
PF: Milano o Parigi?
BF: Questo è scorretto! Trieste.
PF: Facciamo finta che hai passato… Fine settimana di lettura o di viaggi?
BF: Lettura.
PF: Nel tuo armadio minimalismo o decorazione?
BF: Di tutto.
PF: Quindi decorazione o di tutto?
BF: Di tutto. Non ho uno stile, sono senza stile, infatti non so vestirmi. Mi piace tutto troppo per cui non riesco mai ad andare in una direzione sola.
PF: In vacanza con il trolley o con la borsa a mano?
BF: Lo zaino.
PF: Gioielleria o bigiotteria?
BF: Bigiotteria.
PF: Chissà perché, ma questa risposta me l’aspettavo.
BF: La chiamano però “contemporary jewelry”.
PF: Per carità! Certo, certo. C’è anche della bigiotteria che costa più della gioielleria.
BF: E per quello che ti dico diamo il nome corretto perché se no…
PF: Per la prossima premiazione, abito da sera vintage o abito da sera nuovo?
BF: Se ce la faccio vintage. Io comunque rimetto e rimetto gli abiti anche se sono stata fotografata, non mi importa niente.
PF: Brava! Lavori meglio di corsa o a passo lento?
BF: Di corsa.
PF: Anche qua avevo pochi dubbi.
BF: Anzi, se mi dai due cose da fare non riesco a farle, se me ne dai cento ne farò novantacinque.
PF: Fantastico! È proprio giocoleria nella sua forma più pura. Per raccontare la moda, illustrazione o fotografia?
BF: Illustrazione, perché è senza tempo e non si interpreta. La fotografia di uno stesso abito in tempi diversi assume volontà diverse e intenzioni diverse. Il disegno è quello e quello resterà nel tempo.
PF: Ultima domanda [della raffica]. Per arrivare da un punto A a un punto B, meglio perdersi o arrivare dritti alla meta?
BF: Questo è come Milano-Parigi… Non è che voglio essere democristiana, perché non lo sono, ma io cerco di andare sempre dritta alla meta. Però, onestamente, mi sono persa più volte.
PF: Però idealmente dritta
BF: Dritta. Non c’è tempo.
PF: E ci diamo la possibilità di perderci.
BF: Eh sì, cavoli.
PF: Se ci perdiamo ci ritroveremo.
BF: Ci ritroveremo. L’importante è che tu hai sempre la meta lì e quello ti serve da bussola no? Tu vai a destra, sinistra, sopra e sotto, però quando tiri sulla testa ritrovi la tua stella e ritorni verso verso il tuo punto.
PF: Perfetto. La domanda finale: consigliaci un libro per te importante.
BF: L’ho scoperto da poco: Emanuele Coccia, ”Metamorfosi”. Mi è piaciuto tanto il concetto del vivere su due livelli di esistenza. Tu continui la linea esistenziale di vita e di DNA della tua famiglia, per cui non sei tu, ma sei quello che c’era e quello che sarà, e poi c’è la tua vita personale, il tuo te. In questo modo mi sono spiegata un sacco di cose, ho capito tante cose di me degli altri. Noi siamo presente, futuro, siamo tutto, siamo niente. Le nostre cellule erano altre cose e saranno altre cose, ma in questa continuità di vita ci sono i nostri sentimenti e la nostra affermazione, che va al di fuori del fatto che io assomiglio a mia madre, perché io sono io non sono mia madre, per cui è un’affermazione continua del proprio sé. Questo pensiero e tutto il resto del libro mi hanno rinfrancata, ecco, mi hanno rinfrancata e lo consiglio a tutti. Non abbiate paura, non c’è paura nella verità!
PF: Grazie Barbara.
BF: Grazie Paolo e grazie a tutti voi che avrete avuto la voglia di ascoltarci.
Puntata registrata presso ITS Arcademy a Trieste l’1 settembre 2023 e pubblicata il 15 settembre 2023.
La trascrizione è stata effettuata utilizzando strumenti di intelligenza artificiale e successivamente editata dall’autore.
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