Moda e musica. Moda e design. Moda e arte. Con Massimo Giorgetti i confini tra generi e settori cadono di continuo.
Lo dimostra con MSGM, uno dei marchi italiani di abbigliamento più interessanti degli ultimi decenni dove mette in atto collaborazioni incredibili, da Franco Battiato a Gaetano Pesce, tra omaggi alla club culture della Riviera Romagnola e Milano, suo grande amore.
In questa puntata ci racconta di come abbia mescolato creatività estrema e industria, ci parla del suo amore profondo per la musica e per l’arte, cita Isabella Santacroce e i Coldplay. In una costante ricerca della forza del presente.
I link dell’episodio:
– Il sito di MSGM
– Il sito dello spazio Ordet a Milano
– Il sito di Isabella Santacroce
PF: Sono Paolo Ferrarini e questo è Parola Progetto.
Parola Progetto è un podcast di dialoghi con persone che vivono di progetti, dove si racconta il design in tutte le sue forme, senza oggetti e immagini, solo attraverso la parola.
Ed eccoci qua. Oggi parliamo di moda e design con Massimo Giorgetti.
Massimo nasce in Romagna e nel 2009 fonda con tre amici il marchio MSGM, una realtà che si fa immediatamente notare e incontra rapidamente un grande successo di critica e pubblico. Infatti, nel 2010 è tra i vincitori di Who’s on Next, il prestigioso premio voluto da Vogue Italia e Alta Roma, che ha messo in luce i più grandi talenti della moda italiana degli ultimi anni. Dal 2015 al 2017 Massimo ricopre inoltre la carica di direttore creativo di Emilio Pucci.
Le coordinate di MSGM sono colore, energia, spirito urbano, tocco artistico e amore per la musica. Non mancano le collaborazioni con l’arte (citiamo Toilet Paper, Codalunga, FlashArt), con altre realtà della moda (Moonboot, Diadora, Eastpack, Fila), ma anche con marchi del largo consumo (come Polaroid e Heineken) e protagonisti della cultura contemporanea quali Dario Argento e Gaetano Pesce.
Oggi MSGM è una realtà che supera i 60 milioni di fatturato e viene distribuito attraverso 40 boutique monomarca e oltre 600 punti vendita in tutto il mondo.
Ciao Massimo, benvenuto a Parola Progetto.
MG: Ciao, grazie dell’invito.
PF: Partiamo dalla tua formazione, sai che sono un prof e a certe cose ci tengo! Hai studiato ragioneria e dopo la maturità inizi a lavorare come commesso in una boutique di Rimini.
MG: Di Riccione. Riccione, Viale Ceccarini, 1997.
PF: Perfetto, grazie per la precisazione. Allora, te lo chiedo da insegnante di scuole di moda: non è necessario studiare moda per fare la moda?
MG: No, è necessario studiare moda. Io diciamo che l’ho studiata tardi o per lo meno la sto studiando, nel senso che io ho capito comunque fin da subito di avere un po’ questo difetto d’origine, che era appunto il non aver studiato moda, perché invece io credo tanto nello studiare e nello studiare moda. L’ho capito in età adulta e invece da giovane avevo proprio voglia di fare, voglia di intraprendere, voglia di sfidare. Devo dire che ero molto molto molto ambizioso ma anche molto molto entusiasta. Ero un entusiasta, uno che si entusiasmava per le cose. Devo dire la verità sul mio primo lavoro: io ho iniziato a fare delle prove di fitting, non come modello ma come modello di vestibilità. Io ho avuto due zii che avevano due grossi ricamifici e ricamavano per Iceberg, El Charro, Best Company. Quindi la mia infanzia era tra felpe di Best Company, giubbini di jeans di El Charro con la rosa ricamata e tutto il distretto calzaturiero di San Mauro Pascoli, quindi [ho potuto] conoscere in età adolescenziale Sergio Zanotti, Giuseppe Casadei. Devo dire che fin da subito è stata una grandissima fortuna. Poi l’arrivo a Riccione alla fine degli anni 90, quindi il periodo ancora d’oro di Viale Ceccarini, il periodo d’oro dei club, del Cocoricò, dell’Echoes, del Peter Pan eccetera, dove [il clubbing] era ancora cultura, non era solo divertimento. E lì è stata la mia formazione, la mia formazione comunque è stata Riccione, Cocoricò, Isabella Santacroce, i Motus, la Fura dels Baus, questa discoteca dove c’era tanta tanta cultura, oltre ad una cultura musicale di altissimo livello.
Quindi la mia formazione [non] avviene da Nick & Sons, dove è stata la mia prima esperienza lavorativa, dove io mi sono trovato comunque nel 1998, 1997 e 1999 a vendere Gucci per Tom Ford, Prada, Balenciaga, i primi Ghesquière, a toccarli con mano. Quella è stata una scuola, quella è stata una scuola fantastica, però poi ho iniziato immediatamente a studiare e studio tuttora, continuo a ordinare libri. Credo ancora proprio nella carta, nei giornali, nei libri e tutt’oggi studio tanto, quindi credo che studiare serva.
PF: Certo, sì, è importante l’esperienza ma è importante anche la teoria.
MG: Sì, la mia prima esperienza lavorativa è una cosa che mi ha molto formato e mi ha molto fatto crescere. Ho imparato un po’ le regole del commercio, ho imparato quello che funziona, quello che non funziona, il jeans pesante non vende, il cappotto pesante non vende. Ho imparato delle regole che poi mi sono sempre portato dietro e che forse, se non lavori in un negozio, fai fatica a impararle. Questo è stato molto molto importante anche perché erano anni dove non c’era crisi, c’era la lira, erano anni proprio molto spensierati, non c’erano più i pensieri degli anni 70, degli anni 80. Gli anni 90 comunque, in una regione come l’Emilia Romagna, a Milano Marittima, Riccione, Rimini, sono stati molto spensierati e devo dire anche questo ha contribuito molto a formarmi.
PF: Io in quegli anni ero a Bologna, facevo l’università a Bologna e avevo già una grandissima passione per la moda, nonostante studiassi arte contemporanea. Mi ricordo che per vedere cosa succedeva si andava tanto in Monte Napoleone tanto quanto si andava in Viale Ceccarini.
MG: I miei primi ricordi “seri” di moda sono proprio Viale Ceccarini, Oscar Boutique, Nick & Sons, la Papete, la iconica Papete. Ma [si trovavano] anche [i capi] di Comme des Garçons, i Miyake, i primi Raf Simons, il periodo Helmut Lang. Anche se Helmut Lang lo vedeva il negozio davanti a noi, però erano cose di una potenza [tale] che ti rimangono per sempre nella memoria.
PF: Noi ci siamo conosciuti nell’ambito dell’educazione, parlando ancora di scuole. Era il 2014, all’università di Rimini, dove con Federico Chiara e Pervinca Bellini avevamo organizzato una serie di incontri con Vogue Talents. Ricordo che hai raccontato agli studenti i tuoi esordi. Avevi messo subito in chiaro una cosa che mi ha molto colpito. Fin dall’inizio tu volevi – con la tua idea imprenditoriale – colmare quello che era un vuoto nella moda italiana, nell’offerta della moda italiana, ovvero quello spazio che si colloca perfettamente a metà tra prêt-à-porter e avanguardia, tra la tradizione (che sappiamo benissimo molti stanno cavalcando fino all’iperbole) e la ricerca, con una grande attenzione alle tendenze, al passare del tempo, delle stagioni, senza essere né troppo in anticipo né troppo in ritardo, quindi né un anticipatore furibondo ma neanche un follower. Da allora per me, tutte le volte che vedo qualcosa di MSGM, per me è una sorta di polaroid del presente, quasi come se fosse un diario di quello che succede. Tu ti vedi in questa dimensione profondamente presente?
MG: Mi vedo, mi rispecchio e per me è anche un grandissimo complimento. Quello che io volevo fare con MSGM era raccontare, come lo chiamo adesso, il now. E e raccontare il presente per certi versi non è neanche così semplice, nel senso che il presente in questo momento è anche complicato. Diciamo che nel 2008 – perché il progetto MSGM l’ho iniziato a pensare nel 2008 – io avevo capito che mancava un certo tipo di moda. Io questa cosa l’ho capita dalla musica. La mia prima discoteca è stato il Vidia Rock Club di Cesena a San Vittore. Lì ho conosciuto i dj sconosciuti ma, secondo me più, i bravi del mondo. dell’universo, con una cultura musicale incredibile. Lì ho iniziato a formarmi perché comunque mi hanno dato una cultura musicale di una qualità che avrei dovuto pagare oro per averla. Questa altissima cultura musicale mi ha permesso di capire l’arrivo della musica indie.
La musica indie è arrivata [in Italia] intorno al 2005, in America un pochino prima. La musica indie in pratica è una corrente che ha mixato tutti i generi musicali in una canzone, in un album. Si prende proprio delle libertà. Con l’arrivo degli MGMT io sono completamente andato giù di testa. [Era] l’estate del 2008. Devo dire che – [anche se] in una maniera anche un pochino più pop – mi avevano molto colpito anche i Coldplay. Però i Coldplay erano già più rock sinfonico melodico, l’indie [vero è rappresentato dai] vari Arctic Monkeys, tutta la corrente della Shadow Puppets. Mi ricordo il video degli MGMT e ho detto “qui nella musica sta succedendo questo, nella moda non sta succedendo”. Nella moda c’era il lusso, poi c’erano le linee più basse, poi c’erano delle collezioni che erano o streetwear o casual o classiche. Ma perché non fare qualcosa che mette insieme un po’ questo momento e lo decodifica, anzi, lo codifica in vestiti? Devo dire che nei moodboard (avevo preparato un progetto con quattro moodboard che ho presentato a aziende e imprenditori) avevo le idee molto chiare.
Devo dire [che] sono stati molto importanti anche i miei tre amici/soci, di cui due in verità se ne sono andati prima. Uno doveva essere l’imprenditore e finanziatore, che era Maurizio; Gaia doveva essere una sorta di merchandiser e consulente commerciale; io allo stile poi [Simone] per PR, giornalismo, marketing e comunicazione. Siamo rimasti in due e siamo partiti nel 2009 e lì ha vinto anche l’essere molto disruptive, molto fuori dagli schemi. La prima collezione erano tutte stampe acide, pizzo fluorescente tagliato vivo. È stato comunque un progetto preparato molto bene ,nel senso c’era esperienza, c’era determinazione, c’era ambizione. Però era anche proprio preparato [bene con] moodboard e target. Diciamo che ho messo insieme anche tutta l’esperienza che mi ero fatto dal 1997 al 2008, perché in questi dieci anni ho fatto tantissime consulenze di stile e prodotto, mai per grandi maison, però per tante aziende di business.
PF: Mi colpisce molto questo riferimento alla musica indie. Mi fa capire una serie di cose perché la musica indie si colloca proprio a metà strada tra la ricerca indipendente, ma alla fine è musica commerciale. In un certo senso anche MSGM, adesso che penso, ha queste due anime, sta in equilibrio.
MG: La musica indie è una musica pop con mille riferimenti, che non ha paura di essere pop ma che in automatico diventa esplosiva e racconta una storia.
PF: Quando devi preparare una collezione hai un metodo preciso, ricorrente ogni volta o non ce la fai [ad averlo]?
MG: No, ad oggi sono ancora un pochino sconfusionato. E devo dire che più sono sconfusionato, più le collezioni riescono. Quando sono troppo ordinato o quando mi fanno essere troppo ordinato, io e il merch, i budget, tutte queste restrizioni da grossa azienda, non andiamo tanto d’accordo. È una cosa anche un pochino scomoda quella che sto dicendo, però ormai l’ho capita. Ormai secondo me la moda sta vivendo un momento dove serve la creatività. Il prodotto serve, il merchandising serve, ma in questo momento serve creatività, serve storytelling, serve empatia, serve raccontare un messaggio. Non è facile perché poi MSGM è diventato grande, è diventato established, è diventato brand, [con] negozi e responsabilità. Però credo ancora che si possa fare una cosa che è bella, forte, interessante allo stesso momento commerciale, fruibile. Io uso a volte la parola “fruibile”, in inglese “wearable”, perché spesso ci sono delle cose meravigliose che non sono wearable o spesso ci sono cose fruibili ma che non sono speciali.
Adesso è un momento di un ritorno al basico, ai colori tenui. Questo è un grosso cambiamento che si sta verificando nella società e nel mondo, che rispecchia comunque il mondo. Io credo fermamente nella moda quando la moda riflette il costume e la società di questo momento. Se ci pensiamo, perché post-Covid ci sono stati sei mesi, un anno di glamour, sparkling, scintille e adesso si parla di quite luxury, si parla di beige, di grigio? Ma ti dico la verità: anche io, che sono amante di colore e di stampe, negli ultimi mesi nell’ultimo anno, [indosso] pantalone beige, pantalone grigio, nero, cammello, coccio. Ame piace studiare anche le persone vicine a me, anche il mondo, la società, mi piace studiare anche me stesso. A me quello che piace della moda, [la ragione per cui] non mi stufo e non mi stuferò mai di lavorare nella moda, è che cambia, si evolve: Devi starle proprio dietro, la devi rincorrere, come se fossi innamorato di lei, lei che cambia, ti sfugge e tu la devi rincorrere, la devi capire. Però è bellissima questa cosa!
PF: Esistono tante forme di collaborazione tra moda e design, e tu ne hai fatte un paio veramente molto interessanti. Nel 2019, per i dieci anni di MSGM hai addirittura collaborato con Venini, la storica azienda del vetro, e hai realizzato un’edizione limitata di vasi e un pezzo unico che è stato esposto in negozio, qua a Milano se non sbaglio. Addirittura ci sono questi video bellissimi su YouTube in cui ci sei tu, proprio in fornace, all’opera, che lavori direttamente con gli operai, con i soffiatori del vetro.
MG: Questa cosa racconta molto di me, anche della mia persona, nel senso che con Venini mi sono proposto io e loro hanno accettato con piacere. Però ho detto: “Guarda, io ho questo sogno di venire da voi nelle fornaci a Murano, di partecipare, lo voglio fare”. E secondo me è stato bellissimo, perché entri in mondi che comunque sono molto simili alla moda. Cioè, lì c’è la sabbia, c’è il fuoco, però anche noi abbiamo il cotone, abbiamo le macchine da cucire, abbiamo le stamperie, abbiamo i forni dove vanno messi i bottoni, dove vanno messe le zip. Non è così diverso [dalla moda] perché anche le cannule dei colori, sono proprio delle canne le metti insieme, le rompi. È una delle esperienze più belle che ho fatto in questi ultimi dieci anni insomma.
PF: Il giorno del mio matrimonio, come sai indossavo la tua T-shirt che recita “Pensavo fosse amore invece era Milano”. Questo perché a Milano ho trovato prima il lavoro dei miei sogni, poi l’amore della mia vita.
MG: Siamo in due allora.
PF: Perfetto! Poi questo amore mi ha portato a vivere a Roma, ma questa è un’altra storia. Raccontami bene cosa rappresenta per te Milano.
MG: Nel 2009, quando ho firmato l’accordo di MSGM società con il signor Michele Paoloni, ho [scelto il nome] “MSGM Milano”. [Prima] ho messo Milano e poi mi sono trasferito a Milano. Quindi avevo le idee molto chiare su questo. Nel 2011 ho disegnato il primo logo “pennellata”, brushed in inglese (purtroppo pennellata in italiano è un pochino brutto, brushed suona un pochino meglio) e ho messo Milano. Devo dire che prima Milano è stata proprio una furbata di marketing, è stata una genialata perché se MSGM ha raggiunto questi risultati è proprio grazie a quel logo, grazie a quella pennellata. Da romantico io so quando è stata creata quella pennellata: ho proprio copiato il singolo di “Viva la Vida” dei Coldplay, una canzone che mi apriva il cuore.
Milano all’inizio è stata un po’ un’ambizione, poi un’idea di marketing e poi un amore reale. Ricordo di essere tornato a casa da un viaggio in Asia nel 2015, ero tornato da Tokyo e da Seoul. Per la prima volta sono tornato a casa e ho detto “che bello, inizio a sentirmi a casa e amo questa città”. Ed è stato lì che ho iniziato a pensare alla Statale, alle università, ai giovani. Quindi è partito lo show “Non ti fermare” con Franco Battiato alla Statale e tutto il progetto Milano: Bar Basso, Cucchi, Triennale, i tram “Pensavo fosse amore invece era Milano”. Questa frase è nata proprio un pomeriggio, me lo ricordo molto bene, perché questo è uno dei nostri item più venduti nella storia dell’azienda, ancora oggi, anche all’estero.
PF: Scritta in italiano.
MG: Certo. In Cina ci sono anche mille copie, su TikTok vedi anche i fake con il carattere un po’ diverso. Non sanno neanche cosa vuol dire probabilmente.
Poi Milano per me rappresenta un po’ anche la cultura, l’arte. Io da bambino ero ossessionato di Promessi Sposi.
PF: Infatti hai fatto anche una collezione dedicata a Manzoni.
MG: Bravissimo. La felpa di Alessandro Manzoni era una felpa verde neon con il pantalone di pitone. Quello è MSGM. Quindi mi piaceva anche la parte un po’ culturale di Milano, poesia, letteratura, arte, design. E devo dire che sotto [al logo] ci può essere scritto solo Milano, non ci può essere scritto altro.
PF: A proposito di Milano, devo dire che mi ha colpito moltissimo la tua collezione autunno inverno 21-22, quella presentata in piena pandemia, durante una digital fashion week, che tutti ricordiamo ma che non rivolgiamo. È stata presentata ovviamente in video, con un video di Sebastiano Coppola girato al Teatro Manzoni (a proposito!). Era intitolata “Manifesto” ed era curata artisticamente da Gea Politi, editrice e direttrice di FlashArt. Le parole del manifesto prendevano spunto da una canzone scritta dalla stessa Gia Politi, cantata, recitata da Gea Politi e realizzata per il Club Domani.
MG: Club Domani, con Sergio Tavelli e il Plastic.
PF: Per cui sei riuscito a mettere insieme Manzoni e Plastic in una cosa unica, e questo conferma tutto quello che stavi dicendo. In questo progetto c’è un cortocircuito profondamente milanese, perché c’è l’avanguardia un pochino snob del club che comunque è aperto a tutti; c’è il camp, c’è il pop, c’è l’avanguardia, il presente, c’è la cultura, c’è il commercio, ovviamente. Quindi ci sono tante anime di Milano. Quello era un manifesto che raccontava Milano in un momento di forte sofferenza. Che cosa è cambiato da allora? Cosa è cambiato in MSGM e cosa è cambiato a Milano?
MG: In quel momento, quella collezione era proprio dura, [con] colori acidi, era quasi un manifesto di intenti, [che diceva] “vogliamo ritornare a vivere”. Sono cambiate tante cose perché, come ti dicevo prima, siamo molto più conservativi in questo momento, nella moda, nel design, nelle nostre vite. Diciamo che post Covid abbiamo avuto tutti voglia di tornare a vivere, di esplodere e poi ad un certo punto siamo qua come se qualcosa ci frenasse, no? E siamo diventati tutti un pochino più conservativi, più basici. Io con MSGM devo capire questa cosa, perché ho un business da tutelare, un’azienda da tutelare.
MSGM è un progetto sempre in evoluzione (e questa cosa mi piace) con degli highlight, a volte con delle spinte troppo in avanti, o con delle marce indietro. Però quello che mi piace è proprio che è un brand che non si ferma, è un brand che non ti farà sempre la stessa cosa come stanno facendo tutti. E la cosa interessante è che se noi proviamo a fare sempre la stessa cosa, non funziona. Da noi sono tredici anni che [i clienti] li abbiamo abituati a fare sempre cose diverse, quindi vogliono sempre un po’ la novità. E invece adesso è un momento dove tutti [quando] azzeccando un abito, azzeccano una T-shirt, lo ripropongono è all’infinito.
PF: La cosa significativa che dicevi prima è anche il fatto che tra i prodotti più continuativi ci siano semplicemente delle T-shirt con delle frasi. Vuol dire che quello che continua sono le idee, non tanto gli stili. Perché io non mi aspetto di vedere un’iterazione dello stesso oggetto dalle passerelle di MSGM. Io mi aspetto una sorpresa, ogni volta una sorpresa. Poi quello che continua è lo spirito, è l’idea, come “Pensavo fosse amore invece era Milano”. Quindi è il messaggio [che conta].
MG: Assolutamente, assolutamente. Il mondo è cambiato e anche noi siamo cambiati. Abbiamo avuto anni in cui il nostro business era veramente lo streetwear. Questo streetwear era un po’ italiano, un po’ contaminato dalla tradizione, dall’avanguardia. Adesso noi siamo ancora un brand – posso dire – casual, ma non siamo più un brand streetwear. Perché comunque siamo un brand che invece ha un grandissimo business su tailoring, su frescolana, su popeline, su camicie, su maglieria.
Sono ossessionato dai numeri, dai venduti. Sono a volte quasi un commerciale mancato, insomma, che poi lo sono. Questo se vuoi è il mio plus, [ma è anche] il mio tallone d’Achille. A volte sono stato accusato di essere troppo commerciale, però a me piace proprio il commerciale. Io quando guardo i tabulati dei venduti, vedere quello che ha venduto, vedere quello che è stato annullato, [come] il discorso di prima, riflette la società in questo momento. La cosa molto molto bella – che ancora per fortuna succede e speriamo succeda per tanto tempo – è che una cosa che non ha funzionato l’anno scorso, quest’anno diventa un best seller. E un best seller di quest’anno, riproposto l’anno dopo non funziona. Da noi. Noi siamo comunque molto atipico.
PF: Un’altra collezione che ho amato moltissimo è la collezione Autunno Inverno 2022, quella dedicata a Gaetano Pesce, intitolata “Il rumore del tempo”. In questa collezione hai messo a punto un’operazione piuttosto inedita per la moda: sei partito dalle scelte progettuali di Pesce e le hai fatte tue. Faccio qualche esempio. Hai ripreso ad esempio le poltrone Feltri e Shadow nei tessuti trapuntati e negli interni imbottiti delle giacche. Quindi praticamente hai trasformato delle sedute in cose da indossare, in nylon per i parka oversize, in bermuda basket (quindi belli larghi) ma anche per i jersey, felpe, cardigan e così via. In un altro caso la stampa imbottita su popeline e nylon richiama il divano Michetta. Sempre dalla poltrona Feltri di Cassina hai preso una serie di abbinamenti di colore belli acidi, belli decisi, belli forti. Sono curioso di sapere come è nato il rapporto con Gaetano Pesce e come l’avete sviluppato, come è stata sviluppata questa collezione.
MG: Sono molto sincero, come sempre. Io contattai Gaetano Pesce perché volevo fare una collaborazione con lui sui suoi vasi di Fish Design, perché volevo fare i suoivasi stampati, stampati proprio su twill, su seta, su popeline. E poi tra l’altro abbiamo fatto una cosa molto simile, ma non è stata una collaborazione, è stata una sorta di omaggio.
La cosa molto interessante è che è stata una collaborazione senza una vera collaborazione. Nel senso che ci siamo sentiti, ci siamo parlati, abbiamo iniziato questo scambio epistolare via WhatsApp, di mail, eccetera. E lui ha proprio detto: “Guarda Massimo, invece di fare una collaborazione dove tu stampi i miei vasi sulle tue camicie, sulle tue T-shirt, eccetera, io ti apro l’archivio e tu cerca di fare quello che ho fatto io”. È stato ancora più potente, perché la mia idea era più semplice.
Io ho quasi copiato il suo processo creativo. Mi sono ispirato al suo processo creativo e quello che lui ha fatto sull’arredamento, l’ho trasportato in vestiti ed è stato bellissimo. Ed è stato innanzitutto molto forte dal punto di vista visivo, estetico e devo dire c’è stata una grandissima soddisfazione reciproca, siamo mia che sua. E poi [per il] setup del video e del lookbook ci ha prestato i suoi pezzi d’archivio.
Poi devo dirti questa cosa: mi ha fatto molto piacere che dopo questa cosa abbiamo sentito parlare tanto, tanto, tanto di Gaetano Pesce. Quindi mi piace anche pensare che un po’ l’ho rifatto scoprire, perché comunque è stata anche un’operazione di endorsement verso le nuove generazioni. Le persone più giovani del mio team non conoscevano Gaetano Pesce. E dico la verità: ho in progetto un’altra cosa che sta bollendo in pentola, molto molto simile, però a questo giro ci sarà proprio il timbro della fondazione. Sarà una cosa importante, molto grossa, di cui sono molto molto orgoglioso, una di quelle cose che che rimarranno impresse.
PF: Tu collezioni arte contemporanea e sei uno dei fondatori di Ordet, spazio milanese che si propone di andare oltre alla semplice idea di mostra. Come è nato? Che cosa succede in questo posto?
MG: L’idea nasce esattamente prima del Covid, nel 2019. Nasce in maniera [quasi] casuale da un incontro con Edoardo Bonaspetti. Cercava uno spazio perché aveva questo progetto in mente, io invece cercavo un progetto. È interessante perché lui aveva un progetto in mente, io invece avevo lo spazio, il primo ufficio di MSGM che era a sfitto da due anni. È nata quest’idea di creare uno spazio di arte e di cultura che non vende (perché non vendiamo) ma che regala [qualcosa] alla città di Milano. Questa cosa mi riempie di orgoglio [perché] nel nostro piccolo, [Ordet] regala artisti internazionali. Ovviamente ci sono collaborazioni con musei e con gallerie importanti. Devo dire che io sono patron [e resto] dietro [le quinte], sono molto dietro, lascio fare ai ragazzi (c’è un team di tre persone). Però è una cosa che mi arricchisce, mi rende orgoglioso e davvero mi fa capire di essere nella strada giusta. Io credo anche un po’ nel karma e che tutto quello che tu dai in qualche modo alla fine ti ritorna. Questa è forse una delle mie poche regole di vita.
PF: Massimo, è arrivato il momento della raffica.
MG: Via, ci siamo.
PF: Allora, 10 domande, solo risposte secche, hai una possibilità di passare, una possibilità di argomentare.
MG: Ah ok, solo una domanda da argomentare.
PF: Hai due jolly, con uno puoi passare, con uno puoi argomentare. Allora, partiamo. Arte o design?
MG: Arte.
PF: Concerti allo stadio o in un club?
MG: Club.
PF: Vacanze al caldo o al freddo?
MG: Al freddo.
PF: Serata estiva con un film horror o una commedia romantica?
MG: Film horror, assolutamente.
PF: “Sex and the city” o “Lost”?
MG: “Sex and the City” per tutta la vita.
PF: Scala o Plastic?
MG: Plastic.
PF: Ci hai pensato… Viaggio last minute: Maldive o Tokyo?
MG: Tokyo, tutta la vita.
PF: Jeans o chinos?
MG: Devo dirti chinos. I jeans li amo ma li metto poco. Ho argomentato.
PF: Cotone o vinile?
MG: Cotone, cotone, cotone.
PF: Piadina o tagliatelle?
MG: Ah! Questa la passo, nel senso non posso scegliere! Passo perché sono tutte e due fondamentali nella mia vita.
PF: Allora, l’ultima domanda, la classica domanda finale di Parola Progetto: consigliaci un libro.
MG: Un libro che a me ha formato proprio tanto, non è uno, sono tutti i libri di Isabella Santacroce. Isabella Santacroce è una scrittrice di Riccione. [Amo soprattutto] Fluo e tutto il suo periodo fine anni 90. Li ho riletti in età adulta e sono libri molto poetici, molto speciali. Forse chi non ha vissuto quel periodo non li può capire, però raccontano uno spaccato, raccontano un momento della mia vita bello, interessante. Raccontano un po’ la mia giovinezza, raccontano un po’ il mio essere giovane, il mio essere curioso e quindi ti risponderei “Fluo” di Isabella Santa Croce. Ti risponderei questo perché è un po’ un libro sull’essere giovani che per me è un po’ una delle anche delle regole di MSGM, cioè restare giovani, giovani dentro, non perdere la curiosità, non perdere l’entusiasmo e quindi ti risponderei così.
PF: Grazie Massimo.
MG: Grazie a te.
…
PF: Una domanda che non ti ho fatto, il ciuffetto di nastrini colorati come nasce?
MG: Il ciuffetto di nastrini colorati: ecco, questa è una cosa bellissima, questa domanda è una cosa bellissima.
PF: Io li conservo tutti e li ho tutti dentro a un cassetto.
MG: Io ero stato ad una mostra a Roma e il nome dell’artista non lo ricordo, anche se nella mia testa era Patrick Tuttofuoco, ma lui dice che non l’aveva mai fatto, perché poi ci siamo conosciuti e lui dice che non l’aveva mai fatto. Questo libro che mi regalarono fuori dalla mostra aveva come segnalibro questa nappina multicolor grande, grandissima. Quindi c’è questo mistero e io ancora ogni tanto cerco di capire chi fosse l’artista che aveva fatto questa cosa. Io l’ho ridotta in versione piccola e l’ho fatta [diventare] segno distintivo di MSGM.
PF: Quindi con tutte le etichette, con tutti i prodotti MSGM, c’è sempre questo ciuffetto.
MG: Pensa che questa nappina ha avuto un vissuto meraviglioso perché all’inizio era Made in Italy ma costava troppo, poi l’abbiamo spostata ma non era così bella, quindi è ritornata a Made in Italy. Poi a un certo punto lo showroom e i clienti dicevano che era troppo vistosa in negozio ed è stata tolta. Appena tolta l’abbiamo rimessa perché invece era l’anima di MSGM. Lei è quasi un’entità a parte nella storia di MSGM ed è bello che è ancora viva, è ancora lì.
PF: Devi raccontarla questa storia in qualche modo, devi fare una pubblicazione.
MG: Dovremmo fare un cartoon, un mini fumetto perché è proprio incredibile. Mi ricordo benissimo quando in showroom i clienti [dicevano] “è troppo vistosa, troppo giovane, vogliamo vendere a un uomo più grande, vogliamo vendere a una donna più grande”, tutte queste cazzate (e poi deciderete se metterla o meno questa parola). E purtroppo a volte tu segui [i consigli] perché se il tuo showroom e i tuoi clienti dicono questo…
L’abbiamo tolta. A un certo punto è diventata nera perché era troppo vistosa, è diventata blue navy. Una follia, follia totale! Adesso è ritornata ancora multicolor e – anzi – ho anche fatto aggiungere un po’ di ciuffetti fluo, per renderla ancora più visibile. [Questo] per farti capire che non è facile, non è facile assolutamente!
Puntata registrata in studio a Milano il 19 luglio 2023 e pubblicata il 29 luglio 2023.
La trascrizione è stata effettuata utilizzando strumenti di intelligenza artificiale e successivamente editata dall’autore.
Copyright © 2023
Tutti i diritti riservati. È proibita la riproduzione, anche parziale, in ogni forma o mezzo, senza espresso permesso scritto dell’autore.